Due sono le motivazioni di fondo della tragica rappresaglia nazifascista del 16 giugno 1944 con la deportazione di quasi 1500 operai della Siac, della San Giorgio, del Cantiere Ansaldo e della Piaggio.
La prima riguarda un’esigenza ineludibile dell’occupante di disporre di manodopera da inviare nelle proprie fabbriche in Germania. Nonostante le lusinghe, l’affluenza di lavoratori volontari non è affatto soddisfacente e il ricorso alla coscrizione del lavoro diventa sempre più scelta obbligata per i nazisti.
Già a maggio si tengono riunioni con i vertici Ansaldo e la scelta sembra cadere sulle maestranze del Fossati. Un imprevisto fa saltare la data del 10 maggio stabilita per la deportazione di circa 2000 operai.
La seconda motivazione, tutta politica, riguarda l’esigenza di chiudere una volta per tutte la partita con gli operai di Genova che rialzano ancora la testa fin dai primi giorni di giugno. L’agitazione si protrae per tutta la prima metà del mese e ha cause e obiettivi legati all’aggravamento delle condizioni di vita. La situazione alimentare peggiora per ‘esaurimento progressivo delle scorte che le difficoltà dei trasporti, il caos amministrativo, la scarsità dei prodotti impediscono di reintegrare. Si vive alla giornata, per di più col terrore di perdere la vita sotto i bombardamenti diretti a colpire specialmente la zona industriale della città. Ormai i morti si contano a centinaia: una quarantina tra morti e feriti la notte dell’11 marzo per le bombe cadute su Sestri, Pegli, Rivarolo e Sampierdarena, diciassette morti e trentotto feriti per bombardamenti tra il 23 e il 30 aprile, novantatré morti e centotrenta feriti il 4 giugno a Cornigliano, Rivarolo e Sampierdarena, cinquantanove morti a Voltri il 7 giugno, altri quindici il 20 giugno a Sampierdarena.
Lo sciopero
parte alle 10 del 1° giugno al Fossati, alla San
Giorgio e al Cantiere, per la mancata concessione degli
aumenti salariali richiesti.
Al Cantiere lo sciopero prosegue sino alle
13. Nel pomeriggio entrano in agitazione
gli operai dell’Allestimento Navi. Alle 16,30
intervengono forze di polizia e militari tedeschi che occupano lo stabilimento.
Gli operai oppongono resistenza e uno di loro è ucciso. La mattina dopo,
venerdì 2 giugno, la lotta dilaga da Sestri alla Valpolcevera, nel pomeriggio
investe Sampierdarena e Cornigliano: è nuovamente un fiume in piena.
Dopo qualche giorno di pausa, a dare nuovo coraggio arrivano le notizie della liberazione di Roma e dello sbarco alleato in Normandia. Riparte la protesta che interessa tutte le fabbriche del ponente e della Valpolcevera, per un totale, secondo la Militarkommandantur Genua, di 12.000 lavoratori. Il CLN interviene con un volantino che plaude all’iniziativa operaia, pur raccomandando di conservare energie per il “combattimento supremo”. “Non debolezze né impazienze”, è la formula un po’ vaga usata dall’organo di direzione della Resistenza.
Non si fa attendere neppure la risposta di Basile che con un comunicato del 10 giugno ordina la serrata ” … dei seguenti stabilimenti che hanno scioperato: Siac, Ansaldo Cantieri Navali e Carpenteria, S.Giorgio, Ferriere Bruzzo, Piaggio, Ceramiche Vaccari.” Lo stesso giorno, per dimostrare che questa volta si fa sul serio, viene occupato da questurini e SS un reparto in sciopero dell’Ansaldo Meccanico. Vengono prelevati sessantaquattro operai, caricati su un camion e portati via. È un’avvisaglia di quello che succederà sei giorni dopo.
Venerdì 16 giugno, verso le 14, ingenti forze nazifasciste con un’azione fulmine a circondano e occupano quattro fabbriche, Siac, San Giorgio, Cantiere e Piaggio. L’operazione è abbastanza semplice per la Siac perché la fabbrica è relativamente isolata e circondata da colline: si possono quindi controllare agevolmente le entrate e le adiacenze. È più complessa l’operazione nelle fabbriche sestresi, collocate nel contesto urbano e con parecchie vie di uscita. Viene quindi attuato un dispiegamento straordinario di forze che interessa tutta Sestri.
Gli operai sono radunati nei piazzali, selezionati, caricati a centinaia su autobus e camion, così come sono, in tuta, qualcuno con gli zoccoli, molti con una semplice canottiera, dato che quel giorno è molto caldo. Ci sono scene di panico, qualcuno cerca di fuggire, nessuna resistenza è possibile. Nella rete cadono 1480 operai, successivamente portati ai punti di concentramento prefissati a Campi e Rivarolo e caricati come bestie su carri ferroviari con destinazione Germania.
Due giorni dopo esce sulla stampa cittadina un comunicato del comando tedesco: “L’operazione svoltasi ieri in seno agli stabilimenti Siac, San Giorgio, Cantiere Ansaldo e Piaggio, ha chiaramente dimostrato che le Forze Armate del Reich e le Autorità italiane, sanno prendere anche energici provvedimenti per colpire sobillatori, scalmanati, scioperanti, sabotatori.”
Ancora più truculento è il linguaggio usato da Basile che non vuole perdersi la festa e, rivolgendosi direttamente ai lavoratori, si toglie lo sfizio di scrivere: ” … Vi avevo messo sull’ avvertita… Non avete voluto ascoltarmi… Oggi più di uno di voi si pente amarissimamente di essersi lasciato sedurre ed illudere … ” Ma le parole di Basile, oltre all’odio, tradiscono anche impotenza e paura: “…Intanto quei pendagli da forca che si gabellano per comunisti, si appostano all’angolo dei carruggi o all’uscita di un rifugio al cessato allarme, per colpire alla schiena uno dei nostri, borghese o militare… Meditate bene quanto sto per dire: la pazienza ha un limite.”
E i “pendagli da forca” di lì a qualche giorno colpiscono duro, questa volta molto in alto. Dopo essere sfuggito ad un primo attentato proprio il 16 giugno in Via Garibaldi, presso Palazzo Tursi, il 19 a Savignone è liquidato a colpi di mitra il generale della GNR Silvio Parodi. 11 25 giugno esplode una bomba in un bar di Via del Campo frequentato esclusivamente da soldati tedeschi:i morti sono sei e diversi i feriti. 11 30 giugno a Pedemonte vengono colpiti a morte quattro ufficiali tedeschi. 11 2 luglio in Piazza Aprosio a Sestri è la volta di un sottufficiale di P.S.
Una testimonianza sul 16 Giugno a Sestri
“Venerdì 16 giugno 1944, seduti ad un tavolo del dopolavoro aziendale dello stabilimento “San Giorgio” di Sestri Ponente si finiva la solita partìta a carte con i compagni di lavoro, dopo aver pranzato alla mensa.” Così scrive Pierino Villa (Ricordi di un deportato nel Terzo Reich, Nuova Editrice Genovese, 1997). “Erano circa le 13 e 50 – prosegue Villa – e si doveva rientrare in stabilimento dopo la sosta di mezzogiorno, timhrando il cartellino prima delle 13 e 55; perciò mi affrettavo a pagare alla cassa e ad uscire dal dopolavoro per ritornare al mio posto di lavoro. Fu allora che vidi molti militari tedeschi della “Divisione Alpina” intenti a circondare gli edifici dello stabilimento … ” Ripreso il lavoro, operai e impiegati vengono radunati nel piazzale di fronte alla sede centrale della San Giorgio.
Il piazzale era pieno delle maestranze; al centro vi erano tedeschi e fascisti. Tutte le uscite erano controllate. Ci fecero disporre su diverse file e cominciarono a selezionarci. A cinque per volta controllavano I’identità: chi era giovane e dall’ aspetto sano veniva fatto andare da una parte del piazzale; chi era più anziano o con visibili deformazioni veniva fatto entrare nel piano terra dì un vicino reparto. Era evidente che i prescelti sarebbero serviti ai tedeschi per motivi a noi ignoti.” Può succedere che si venga scelti o scartati per un capriccio del selezionatore. È quello che capita a Villa: ” L’ufficiale mi aveva già fatto segno di mettermi con gli scartati allorquando un suo collega, dopo una discussione che non capii, segnando con il dito la cravatta rossa a piccole palline bianche che portavo ridendo, mi fece andare nelle file dei prescelti … ”
I rastrellati, costretti a salire su un torpedone, sono portati a Campi, vicino ad una linea ferroviaria. “Incominciarono a contarci, ed a caricare quaranta di noi su ciascun carro ferroviario … Ai due finestrini dei carri, diametralmente opposti delle dimensioni di cm 75 x 50, vennero chiodate esternamente delle reti, costituite da fili spinati. Dopo avermi fatto salire, insieme ad altri trentanove, su uno di quei carri, chiusero la porta… Dopo un’oretta il convoglio si mise lentamente in moto.” Nel primo tratto del viaggio qualcuno riesce a scappare, fortunosamente. “Percorsi ancora alcuni chiìometri il treno si fermò … Fascisti e tedeschi scesero ed incamminandosi lungo il treno gridavano verso di noi, dicendo “Siete in numero di quaranta per carro, per ogni persona che ad un controllo avesse a risultare mancante fucileremo cinque di voi.”
Fonte: “Cronache resistenti” di Paolo Arvati