…Quello della Divisione Acqui è uno dei primi episodi di resistenza organizzata e uno dei pochi che ha visto protagonista una grande unità delle Forze Armate italiane contro l’esercito nazista, all’indomani dell’armistizio dell’8 settembre 1943. Mai un così elevato numero di uomini, alcuni dei quali – voglio sottolinearlo – giovanissimi, scelsero in piena coscienza la via dei supremo sacrificio.
Undicimilacinquecento soldati insieme con i loro ufficiali decisero liberamente di affrontare un combattimento impari, contro un nemico feroce, preponderante per uomini e mezzi.
Fra il 13 e il 28 settembre 1943 si compie l’eccidio dell’intera divisione che presidia le isole di Cefalonia e Corfù, di alto valore strategico a causa della loro posizione geografica. Con appassionate rievocazioni lo hanno ricordato in questi lunghi anni i superstiti di quella tragedia: padre Formato, Lorenzo Apollonio, Amos Pampaloni. Memorie viventi di quei giorni terribili.
L’8 settembre 35 divisioni italiane si trovano fuori dei territorio nazionale, impegnate nell’occupazione dei Balcani e delle isole dell’Egeo. Lasciati all’oscuro dell’evolversi della situazione, i comandanti apprendono dell’armistizio ascoltando la radio. Inquadrata nell’Undicesima Armata operante in Grecia, la Divisione Acqui è agli ordini dei generale Antonio Gandin, insignito dell’Ordine Militare di Savoia, ben conosciuto dai tedeschi che lo avevano a loro volta decorato e indicato come possibile comandante delle forze dell’Asse nei Balcani. Nessuna comunicazione gli giunge da Roma. Gandin riceve un radiogramma dei generale Carlo Vecchiarelli, comandante dell’Undicesima Armata con l’ordine di non assumere iniziative contro i tedeschi, ma di reagire a eventuali aggressioni, in linea con le direttive emanate dal governo Badoglio, di per sé alquanto nebulose.
Il giorno dopo, 9 settembre, Vecchiarelli, che i tedeschi considerano “un buon amico”, sottoscrive con loro un accordo e dispone la sostituzione dei reparti italiani con forze germaniche alle quali dovranno essere consegnate le armi collettive, le artiglierie e le rispettive munizioni.
La contraddittorietà degli ordini ricevuti e il totale stato di insicurezza in cui si sarebbero trovate le sue truppe, consegnando le armi, spingono Gandin a intavolare una trattativa con il comandante tedesco, il tenente colonnello Hansen Barge.
Tre le alternative:
– consegnare le armi, subito scartata perché, come visto, avrebbe significato la resa incondizionata e la perdita di ogni onorabilità, anche nei confronti della generosa popolazione di Cefalonia;
– combattere a fianco dei tedeschi, altrettanto improponibile, dati gli ordini dei governo, conseguenti alla firma dell’armistizio;
– combattere contro i tedeschi, eseguendo il dettato dei proclama di Badoglio che parla di reazione “eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza”.
Gandin prende tempo, diluisce per quanto è possibile i colloqui con Barge, tenta di mettersi in contatto con un comando superiore diverso da quello dell’Undicesima Armata, raccoglie informazioni per valutare la situazione, alla ricerca di una soluzione onorevole per non cedere le armi e salvare la vita degli uomini affidati al suo comando.
Fra i fanti e gli ufficiali della Acqui intanto serpeggia l’ostilità verso l’ex alleato, a causa delle prepotenze e delle sopraffazioni di cui è protagonista.
La situazione si deteriora con il trascorrere delle ore. Il generale Gandin è informato dei progressivo rafforzamento dei contingente germanico con uomini e mezzi. Il 13 settembre il colonnello Barge pone l’ultimatum: consegna delle armi entro 24 ore.
Bisogna decidere e in fretta. Fra gli uomini della Acqui c’è insofferenza per la mancata ferma risposta all’ultimatum tedesco. Il generale Gandin recepisce i sentimenti delle sue truppe e la mattina dei 14 settembre accade un fatto senza precedenti nella storia militare: ufficiali, sottufficiali e soldati sono chiamati a pronunciarsi sulla condotta delle operazioni belliche e di conseguenza a scegliere il proprio destino. La memoria dei sopravvissuti ci ha tramandato l’esito di questa libera votazione su un quesito decisivo: arrendersi o combattere contro i tedeschi. Da tutti i reparti l’indicazione è univoca, determinata: “Contro i tedeschi”.
E proprio allora, da Brindisi, arriva il messaggio dei Comando Supremo: “Resistere con le armi all’intimazione tedesca di disarmo a Cefalonia, Corfù e altre isole”.
Immediata e violentissima la reazione nazista. Senza aspettare la scadenza dell’ultimatum, il comando tedesco fa bombardare le nostre linee. Le conseguenze sono disastrose: centinaia di vittime e lo sconvolgimento dei piano d’attacco elaborato da Gandin e dai suoi più stretti collaboratori.
Privi di appoggio aeronavale, inferiori per uomini e mezzi, con il solo supporto di tre batterie costiere della Marina e il rinforzo di un reparto della Guardia di Finanza, gli uomini della Divisione Acqui tengono testa al nemico per sette giorni, combattendo con la consapevolezza che il trascorrere dei tempo non gioca a loro favore, e le possibilità di vittoria si riducono di minuto in minuto.
Ogni progresso però comporta per le truppe naziste perdite altissime. Allora, dove non prevalgono le armi, il comando germanico tenta con le pressioni psicologiche, nella speranza di provocare defezioni nei reparti: volantini con la promessa di un immediato ritorno in Patria per quanti si arrenderanno spontaneamente sono lanciati sulle linee italiane. Non trovano risposta.
Gli scontri sono già costati alla Acqui oltre duemila caduti, quando la mattina dei 22 settembre il generale Gandin decide di accettare la resa senza condizioni. Un atto che significa cessazione delle ostilità, ma anche garanzie precise nei confronti dei prigionieri, dei feriti e dei malati inermi, dei personale sanitario, medici e infermieri.
Gli ordini trasmessi da Berlino sono espliciti: fucilare chiunque avesse resistito. In 48 ore i reparti tedeschi, con inaudita ferocia, passano per le armi oltre 5.000 uomini. E poiché gli ufficiali sono stati i principali animatori della resistenza, radunano 265 superstiti alla “Casetta Rossa” e li falciano a raffiche di mitragliatrice a Capo San Teodoro. Primo a cadere è il generale Antonio Gandin, al quale sarà poi concessa la Medaglia d’Oro alla memoria.
Gli scampati alle fucilazioni vengono imbarcati su navi tedesche per essere inviati nei lager. Una volta al largo, i sommergibili alleati colpiscono con i siluri le navi nemiche con a bordo i prigionieri. E aerei alleati, destino beffardo, mitragliano a volo radente i naufraghi.
Caduta Cefalonia, è investita Corfù, presidiata da altri reparti della Acqui, comandati dal colonnello Luigi Lusignani. Due giorni di combattimenti, poi la resa e nuovi massacri nuove fucilazioni, Lusignani in testa.
Fin qui la storia, i fatti, secondo verità, così come testimoniano i superstiti della Acqui, la popolazione di Cefalonia che li aiutò, gli stessi rapporti inviati a Berlino dai massacratori tedeschi.
Con l’aggiunta di una riflessione. Cefalonia racchiude e anticipa l’intera stagione della Resistenza contro il nazismo: dal rifiuto della collaborazione con i tedeschi alla lotta partigiana, alla ricostituzione dell’Esercito italiano che affiancherà gli Alleati da Mignano Montelungo alla Liberazione. Anticipa la ritrovata capacità di decidere con la partecipazione di tutti, la libertà di scegliere il proprio destino con la consapevolezza dei sacrificio da affrontare…
tratto da Atti del Convegno “Il sacrificio della Divisione Acqui” estratto dall’intervento di Gerardo Agostini